Logistica e trasporti: facciamo chiarezza sui principali problemi che caratterizzano il settore

Eventi sconvolgenti come la pandemia e la più recente guerra in atto hanno messo in luce l’importanza della logistica e dei trasporti. Durante il lockdown le nostre abitudini sono notevolmente mutate e i servizi di home delivery, indispensabili nella fase più acuta dell’emergenza, sono ormai sempre più utilizzati e quindi strategici. Il settore sta attraversando una fase complicata, caratterizzata da problemi di diversa natura come l’aumento senza precedenti dei costi (dai carburanti alle materie prime), la carenza degli autotrasportatori e le onerose applicazioni di comportamenti sempre più sostenibili. Queste sono solo alcune delle complicazioni con le quali si sta trovando a fare i conti il mondo della logistica e dei trasporti, che diventano ancora più impattanti dal momento in cui le tariffe applicate ai clienti sono contrattualizzate, e quindi non adeguabili di anno in anno.

 

Per investigare al meglio questo scenario così complesso abbiamo deciso di interpellare Fabrizio Dallari,

Professore Ordinario di Logistica e Supply Chain Management presso la LIUC

Università Cattaneo, dove è anche direttore del Centro sulla Logistica e il Supply Chain Management.

 

 

 

Di seguito l’intervista integrale.

 

1  Professore, negli ultimi mesi si è registrato un aumento vertiginoso dei costi. Uno su tutti il costo del gasolio per autotrazione, che ha subito un aumento mai visto prima (quasi del 50%). Questa voce è chiaramente una delle più impattanti per il settore della logistica e dei trasporti, ma lo è anche l’aumento delle materie prime (pensiamo alla carta e al legno). Crede che questa situazione rappresenti una bolla speculativa?

 

Gli esperti sono soliti utilizzare il termine Grey Rhinos per parlare di crisi annunciate. E l’aumento dei costi è proprio una di queste. Purtroppo non credo che si tratti di una bolla speculativa ma di una dinamica di prezzi legata ad uno scenario che a livello geo-politico è sempre più complesso, nel quale è possibile prevedere in un certo modo gli eventi ma è più difficile pronosticare quali possano essere gli impatti che questi hanno sulle supply chain. 

Facciamo qualche esempio partendo dal contesto della guerra dei dazi tra Cina e Stati Uniti. Un pallet Epal a gennaio 2020 costava 9 euro mentre oggi costa più del doppio e ricordo che, il pallet, insieme al gasolio, è una delle cose che muovono  le merci. Perché è raddoppiato il costo? A causa di una fortissima richiesta da parte del mercato americano di legno. Il Canada ha messo in piedi delle politiche per le quali non vendeva legno agli americani e quindi gli americani hanno deciso di importare i pallet dai paesi scandinavi, che sono i fornitori ai quali si rivolgono le aziende europee. Banalmente questo fa capire come una mossa geopolitica di questo tipo possa incidere sui costi. 

Un altro esempio. Fino a qualche anno fa la carta smaltita in Europa veniva importata dalla Cina. Ad un certo punto la Cina ha smesso di importare la carta dall’Europa, decidendo di usare la sua e questo per noi ha comportato un aumento ingente dei costi gestione di smaltimento dei rifiuti.

Per parlare di materie prime, possiamo citare il caso dei microchipCon la pandemia si è registrata una grande spinta all’acquisto dei beni rispetto ai servizi. Questo incredibile aumento di domanda ha generato una mancanza di capacità produttiva, soprattutto per quanto riguarda i prodotti di tecnologia e quindi microchip, che sono alla base di cellulari, computer e automobili…di qualsiasi prodotto che ha bisogno di un microchip. Ciò si è portato dietro anche la richiesta di materie prime particolari quali le “terre rare”, di cui la Cina ha il monopolio. Di conseguenza il costo di queste materie prime è aumentato e questo chiaramente impatta sul costo dei beni e dei servizi della logistica.

Pensiamo ai container. Per produrre un container in acciaio, in Cina, fino a poco tempo fa erano necessari circa 1800 dollari. Adesso quel costo è quasi raddoppiato, e questo a causa dell’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia.

Sicuramente paghiamo anche le conseguenze di anni in cui ci siamo permessi di lavorare minimizzando le risorse. Sino a qualche anno fa si osannava molto il tema della lean, il fatto di essere snello, lavorare al minimo dei costi e delle risorse e ottimizzare. Oggi, invece, la parola “ottimizzazione” non piace più perché ottimizzare vuol dire lavorare con il minimo delle risorse disponibili e, in certe situazioni, è sempre meglio avere un backup di risorse piuttosto che essere snelli.

Per descrive il contesto nel quale ci troviamo a vivere oggi si usa un termine sviluppato dall’intelligence militare statunitense: VUCA (Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity), che esprime la necessità di elevata flessibilità e capacità di prontezza nel reagire agli eventi più o meno prevedibili. Questo comporterà il fatto che tutti dovremo abituarci a lavorare con una situazione economica più grave e, quindi, con un costo della logistica più alto rispetto a quanto eravamo abituati.

Vedendola dal punto di vista di un’azienda che offre servizi di logistica, a fronte di questo aumento di costi di servizi e materie prime, compreso il gasolio, è chiaro che è necessario, nei confronti dei propri clienti, rifarsi al contratto ed in particolare alla clausola di forza maggiore. Nei contratti occorrerà definire paletti per scenari endogeni (che non siano necessariamente cause di forza maggiore) ed è giusto che sia possibile rivalersi sui clienti che dovranno quindi pagare un extra costo. 

Abbiamo già parlato dell’aumento del costo del pallet Epal ed è immaginabile quanto questo possa impattare sui costi logistici, ma analizziamo adesso l’aumento del gasolio. Per un operatore logistico come Columbus, fatto 100 il fatturato di un cliente:

i ⅔ sono legati all’attività di trasporto, ⅓ è legato all’attività di magazzino. Dei costi legati al costo del trasporto, che abbiamo detto rappresentare i ⅔ del fatturato,  tipicamente il 30% è imputabile all’incidenza del costo del gasolio. Possiamo affermare quindi che il gasolio impatta sul 20% del fatturato (=30% di 2/3).  Questo vuol dire che se il nostro fatturato attualmente è 100, di cui il gasolio impatta per il 20%, se il costo del gasolio aumenta del 50%, abbiamo un 10% di extra costiIn un’azienda logistica in cui la marginalità è vicina al 10% un aumento dei costi di questo tipo vuol dire lavorare gratis, ed è evidente che questa condizione non è sostenibile.

In parte questo aumento può essere visto positivamente. Pensiamo alla filosofia Kaizen e immaginiamo gli scogli coperti dal mare. Quando il livello del mare scende si vedono gli scogli, che per i giapponesi rappresentano i problemi. Nel momento in cui la gente sta bene i problemi sono sotto il tappeto mentre quando la gente sta male i problemi, come gli scogli, emergono e ci si ingegna per risolverli.

In un periodo come questo in cui dobbiamo fare i conti con numerose difficoltà quello che dobbiamo fare è imparare ad usare il pensiero laterale per trovare delle soluzioni. Torniamo all’esempio del pallet: non posso pagare meno il pallet ma posso studiare il modo di usarlo di più. Oppure, non posso pagare meno il trasportatore o meno il gasolio ma posso studiare il modo di far fare all’autotrasportatore meno viaggi a vuoto. Quello che voglio dire è che sicuramente l’aumento dei costi in questo momento è deleterio ma deve aiutarci a innovare  per ottimizzarli. E questo deve valere non solo per gli operatori logistici ma anche per i clienti.

 

2 Ad incidere sulla crisi dei trasporti si è recentemente aggiunta la carenza drammatica di autisti, rendendo sempre più difficile garantire i KPI richiesti che, per contro, sono sempre più stringenti. In tal senso, il governo ha approvato l’iniziativa “voucher patenti”, che punta a stimolare il rilascio di patenti per la guida di autoarticolati grazie ad un contributo dell’80% sui costi. Ritiene che questa misura possa essere efficace e quali altre ritiene necessarie?

 

Anche in questo caso ci troviamo di fronte a quella che possiamo definire una crisi annunciata. Da diverso tempo gli autisti si lamentano in merito agli orari di guida, alle condizioni di lavoro e al fatto di essere sottopagati. Si è cercato in tutti i modi di pagare il meno possibile i trasportatori e ad un certo punto questi si sono stancati. 

La carenza di autotrasportatori, in Italia, è causata da diversi fattori.

Il primo è legato ai lavoratori dell’est, che rappresentano una percentuale significativa degli autotrasportatori operanti nel nostro paese. Da alcuni anni nei loro paesi di origine, uno tra tutti la Polonia, l’economia è in ripresa, gli stipendi sono di poco inferiori a quelli che avrebbero in Italia ma il costo della vita è molto più basso. Motivo per il quale molti di loro hanno deciso di tornare a lavorare in patria.

Il secondo motivo è legato al mondo dell’e-commerce e della consegna a domicilio, che impiega numerosa manodopera e che ha attirato molte persone che guidavano i camion e che hanno deciso di cambiare mansione al fine di migliorare la propria qualità di vita. Si tratta infatti di un tipo di lavoro molto diverso: tragitti ridotti, orari morbidi con possibilità di tornare a casa la sera. Non dimentichiamoci che il mestiere dell’autotrasportatore è assai gravoso: tantissime ore alla guida, magari con il rischio di addormentarsi, la paura di furti oltre ad una serie di rischi legati al fatto stesso di guidare mezzi pesanti. 

Questo è uno dei motivi per cui i nostri giovani non hanno nessuna passione nei confronti del lavoro dell’autotrasportatore. Si tratta proprio di una mancanza di vocazione. Per questo credo che il voucher patenti, soprattutto in alcune zone del nostro territorio dove non si registrano particolari problemi di disoccupazione, non risulterà essere una misura efficace.

Sono convinto che per sopperire alla mancanza di autotrasportatori sia necessario trovare soluzioni alternative. In primo luogo attraverso un’ottimizzazione dei percorsi, quindi facendo sì che nel momento in cui si effettua una consegna da un punto A a un punto  B, il camion lungo quella tratta viaggi completo al 100%. Così come durante la tratta dal punto B per ritornare al punto A, con un carico di ritorno che viene caricato nelle immediate vicinanze perchè altrimenti avrei un camion che per il 50% per cento delle sue attività è vuoto.

Un’altra soluzione alternativa è l’intermodalità, quindi far viaggiare i camion sui treni, una grande opportunità se pensiamo alle linee ad alta capacità. Questo permetterebbe di liberare le infrastrutture, risparmiare notevoli quantità di gasolio e ridurre il numero di autisti necessari. L’intermodalità potrebbe rispondere anche al problema di carenza degli autisti, in quanto i camion da un punto A ad un punto B viaggerebbero sui treni ad alta capacità senza quindi un conducente. Infatti, un trasportatore potrebbe andare a prelevare il camion al punto di arrivo, permettendo di risparmiare ore di lavoro dell’autista che potrebbe occuparsi di altri servizi. Purtroppo, in pochissimi ricorrono a questa soluzione perché il costo del trasporto ferroviario è un prezzo molto elevato e quindi preferiscono tutti sfruttare la flessibilità del costo del trasporto. Inoltre, l’intermodalità è utilizzabile solamente da realtà di trasporto di certe dimensioni, che abbiamo almeno una cinquantina di mezzi. Da un’indagine di qualche anno fa, ad esempio, emerge che in italia il 42% delle società di trasporto fattura meno di 1 milione di euro e queste sono tutte aziende monoveicolari.

Per concludere, credo che la misura del voucher patenti, come tante altre, rischia di non essere efficace. Credo servano delle misure messe in atto più che dal ministero dei trasporti, dal ministero dello sviluppo economico, come ad esempio incentivi a intermodalità, sia ferroviaria che marittima, che permettano di ottimizzare le risorse che abbiamo.

 

3 Parliamo di sostenibilità, una tematica che per fortuna è sempre più centrale. Sono tantissime le declinazioni che sta andando ad assumere il termine, tra tutte la sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale. Da un punto di vista etico è sicuramente una conquista di grande valore il nuovo atteggiamento che si è delineato nei confronti di tali aspetti. Da un punto di vista pratico, tuttavia, queste nuove “guideline” comportano chiaramente dei costi nella loro applicazione che, allo stato attuale, sono a carico delle aziende. Quindi, scusandomi per il gioco di parole, le domando: “Siamo certi che, allo stato attuale, per il settore logistico questa “sostenibilità” sia sostenibile?

 

È indubbio che il tema della sostenibilità sia sempre più centrale anche in ambito logistico, non solo nel contesto accademico. E lo è per tante imprese perché si è capito che essere sostenibili significa, nella maggior parte dei casi, essere anche più efficienti. Citavo prima il caso del mezzo che deve andare dal punto A al punto B a pieno carico, e dal punto B deve tornare al punto A con un carico di ritorno. È chiaro che si tratta della soluzione più efficiente possibile da un punto di vista dei costi ed è anche la più sostenibile perché, a parità di servizi, saturo un camion e riduco le emissioni di CO2.

Il discorso della sostenibilità nel mondo dei trasporti e della logistica però non si può certamente limitare alla tipologia di mezzi usati. Qual è la scelta più sostenibile tra una persona che utilizza una macchina a gasolio per andare a lavoro e che accompagna sempre tre colleghi, e quindi è sempre a pieno carico, ed il suo collega che va a lavoro con l’auto elettrica ma sempre da solo? E’ chiaro che alla fine è necessario fare i calcoli della LCA (Life Cycle Analysis) – consumo complessivo, dal pozzo alla ruota (from Well to Wheel). Perchè dal pozzo? Perché, come sappiamo, in Italia per realizzare energia elettrica abbiamo bisogno del gas, il quale viene messo nelle centrali, a carbone o a gas, che generano energia elettrica. Quindi ci troviamo di fronte ad un tema di sostenibilità che va analizzato molto bene.

Ci sono diverse strade per ridurre l’impatto ambientale e quindi le tonnellate di CO2.

La prima è quella di cambiare la modalità di trasporto, e quindi, ad esempio, usare il treno anziché la gomma. Ma usare il treno è più efficiente oppure no? Se ho una lunga percorrenza sopra i 500 km il treno è più conveniente rispetto alla strada, ma se il tragitto è inferiore no. Questa modalità di trasporto oltre a essere più sostenibile è anche economicamente efficiente, sopra una determinata percorrenza. E si tratta di una soluzione che viene utilizzata da alcune aziende. Peccato che in Italia non ci siano molti servizi di intermodalità visto che c’è un tema di gatto che si morde la coda in quanto, poiché in pochi utilizzano i treni ad alta capacità, non nascono nemmeno innovativi servizi di logistica.

Seconda leva di azione è quella di cambiare il sistema di trasmissione, come ad esempio utilizzare veicoli elettrici o a gas liquefatto o, in futuro, ad idrogeno. L’elettrico è più o meno conveniente rispetto al gasolio? È indubbio che sia una soluzione più sostenibile, l’idrogeno lo è ancora di più perché comporta emissioni di vapore acqueo però il problema è il costo della creazione dell’idrogeno stesso. Il famoso metano una volta costava 0,9 € adesso costa come il diesel. Si tratta quindi di una soluzione sostenibile ma che permette difficilmente un’efficienza economica.

Una terza modalità per ridurre i consumi è di natura organizzativa. Parliamo di riduzione della velocità, che vuol dire fare innanzitutto gestire degli ordini con tempi di consegna meno stringenti, che consentono di ridurre la velocità di tutte le operazioni, non solo quelle di trasporto. A livello di trasporto questo può significare rendere più efficiente il livello di servizio giornaliero, ad esempio aumentando il numero di clienti che io riesco a vedere in poco tempo. Più clienti vedo, più sono efficiente. È chiaro che questa efficienza va un po’ contro al fatto che l’autista va piano e quindi ad una velocità media di 30 km/h anziché a 50 km/h.  Ma sicuramente se dai clienti ricevessimo meno richieste di trasporto veloce (ad esempio oggi per domani) si ridurrebbero sia i costi che le emissioni di CO2. 

In questo caso bisognerebbe partire da una riflessione. Davvero abbiamo bisogno che facendo oggi un click sia possibile ricevere già domani mattina un prodotto che, se tutto va bene, useremo il prossimo fine settimana? Questa nostra ormai consolidata abitudine a poter ricevere qualsiasi prodotto in brevissimo tempo ci ha portato a non pianificare più. E questo, in termini di sostenibilità, non va assolutamente bene. Come attività di ricerca stiamo creando una sorta di piattaforma attraverso la quale i consumatori vedono quant’è il maggior consumo di CO2 derivante da modalità di trasporto veloce, come i corrieri espressi, rispetto a metodi di consegna un po’ più lenti come potrebbero essere quelli delle poste.

Concluderei con l’aumento del load factor, vale a dire ottimizzare il livello di carico di riempimento del camion, che è sicuramente propedeutico per ridurre numero di mezzi, il numero di viaggi necessari per andare da A a B, perchè vado meno volte ma con più merce. Perciò fatturo sempre 100 ma anziché consegnare 10 per 10 volte, ne consegno 50 in 2 volte. Questo deve prevedere a monte accordi diversi con i clienti, che potrei andare a rifornire una volta al mese anziché tutte le settimane, attraverso più scorte in meno viaggi.

Per rispondere quindi alla domanda “nel settore logistico questa sostenibilità è davvero sostenibile? “ direi che ci sono soluzioni logistiche che sono sostenibili sia economicamente che ambientalmente, in altri casi ci troviamo di fronte a soluzioni che sono solo funzionali alla riduzione delle emissioni di CO2 ma che non comportano un’efficienza economicaCome il caso delle auto elettriche che hanno costi molto elevati, senza contare il fatto che se avessimo tutti auto elettriche non ci sarebbero infrastrutture sufficienti (es. colonnine di ricarica e trasformatori). Penso che ci sia un tema di sostenibilità che deve essere sicuramente tenuto nel mirino ma forse più a livello di comportamenti che a livello di tecnologia.

 

 

4 Alla luce di questi grandi cambiamenti e di un nuovo modo di vedere e valutare possibili rischi su scala globale, come descriverebbe il mondo della logistica nel 2025?

 

Dovendo prevedere uno scenario non troppo in avanti, quindi al 2025, io prevedo che ci saranno ancora per un po’ gli strascichi sia di questa guerra in Ucraina che di altri possibili conflitti che potrebbero essere dietro l’angolo. E ogni conflitto potrebbe causare delle conseguenze, come in questo caso il drammatico aumento dei costi del gas.

Per rispondere al meglio a queste possibili conseguenze l’atteggiamento da avere è quello di aumentare la resilienza. Questo vuol dire aumentare i costi, aumentare le scorte, aumentare il ricorso a fornitori a km 0, cercare di riattivare quelle fabbriche o quei sistemi produttivi che una volta avevamo in Italia e che poi abbiamo delocalizzato.

Questi grandi cambiamenti porteranno probabilmente ad un riassetto dello scenario macro economico. Si parla tanto di accorciamento delle supply chain, quindi di catene di rifornimento logistiche più corte quindi con una base di fornitori meno internazionale.

Inoltre assisteremo probabilmente a un maggior ricorso a scorte supplementari e a mezzi di backup perché abbiamo capito che è necessario essere pronti ad attivare il cosiddetto piano B in qualsiasi momento, avendo  a disposizione quanto necessario per metterlo in atto.

L’altro aspetto che purtroppo dobbiamo tenere in considerazione è l’aumento considerevole di fenomeni naturali di ampia portata che si stanno registrando in tutto il mondo. Secondo uno studio di un azienda Munich Allianz, società assicurativa tedesca, si sta registrando un continuo incremento di fenomeni di natura geofisica, idrologica, climatologica, meteorologica. Stanno aumentando considerevolmente inondazioni, cataclismi, eruzioni vulcaniche e questo in tutto il pianeta. Motivo per il quale è opportuno avere più fornitori in aree molto distanti tra loro.

Per concludere, purtroppo i rischi sono destinati a crescere e quindi serve dotarsi di veramente tante capacità di saper leggere i segnali deboli e avere resilienza. E la resilienza costa.

 

.